IL
RECESSO: DA ECCEZIONE A REGOLA ?
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1. In generale
Secondo l’art.
1373 c.c.: “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal
contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia
avuto un principio di esecuzione.
Nei contratti
ad esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche
successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o
in corso di esecuzione”.
Trattasi, dunque,
di un diritto potestativo di risolvere, eccezionalmente, dall’interno, ex
uno latere, il contratto (Cass. 2759/84). L’avverbio “eccezionalmente”
conferma la previsione di cui all’art. 1372 c.c.: “Il contratto ha forza di
legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause
ammesse dalla legge”.
Pertanto, attesa
la vincolatività dell’accordo contrattuale, a parere della giurisprudenza, il
recesso è possibile solo se il relativo potere è stato attribuito in sede di
contratto con fissazione di un termine (Cass. 7579/83).
L’art. 1386 c.c.,
oltre a richiedere che il recesso sia previsto contrattualmente, dispone quanto
segue: “1. Se nel contratto è stipulato il diritto di recesso per una o per
entrambe le parti, la caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso.
2. In questo caso, il recedente perde la caparra data o deve restituire il
doppio di quella che ha ricevuta”.
Ciò per quanto
concerne la disciplina generale del recesso che, come già precisato, sancisce
l’eccezionalità della figura de qua, ribadendo così il principio
pandettistico pacta sunt servanda.
Con riguardo ai
singoli contratti, però, esistono numerose previsioni legislative che, per
ragioni diverse, concedono (ad uno soltanto o ad entrambi i contraenti) il
diritto di recesso, ovvero limitano tale diritto o, ancora, lo configurano in
maniera peculiare.
2. Il recesso
dai singoli contratti
Tralasciando
l’esame del diritto di recesso nei contratti cc.dd. associativi (stabilito in
favore dell’associato - art. 24 c.c. -, del socio - artt. 2285, 2289-2290,
2307, 2437, 2480, 2530, 2532, 2535, 2536 c.c. - e del consorziato - art. 2609
c.c.-), le norme che interessano sono le seguenti:
·
(sulla vendita)
art. 1537 c.c. “1. Quando un determinato immobile è venduto con
l’indicazione della sua misura e per un prezzo stabilito in ragione di un tanto
per ogni unità di misura, il compratore ha diritto a una riduzione, se la
misura effettiva dell’immobile è inferiore a quella indicata nel contratto. 2.
Se la misura risulta superiore a quella indicata nel contratto, il compratore
deve corrispondere il supplemento del prezzo, ma ha facoltà di recedere
dal contratto qualora l’eccedenza oltrepassi la ventesima parte della misura
dichiarata” e art. 1538 c.c. “1. Nei casi in cui il prezzo è determinato
in relazione al corpo dell’immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia
stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, salvo
che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella
indicata nel contratto. 2. Nel caso in cui dovrebbe pagarsi un supplemento di
prezzo, il compratore ha la scelta di recedere dal contratto o di
corrispondere il supplemento”;
·
(sui contratti
stipulati al di fuori dei locali commerciali e quelli conclusi a distanza
dal consumatore) art. 64 D.Lgs. 206/05 (di seguito, denominato “Cod. Consumo”) “Per
i contratti e per le proposte contrattuali a distanza ovvero negoziati fuori
dai locali commerciali, il consumatore ha diritto di recedere senza
alcuna penalità e senza specificarne il motivo, entro il termine di dieci
giorni lavorativi”;
·
(sui contratti di multiproprietà)
art. 73, 1° co., Cod. Consumo “Entro dieci giorni lavorativi dalla
conclusione del contratto, l’acquirente può recedere dallo stesso senza
specificarne il motivo”;
·
(sulla vendita di
pacchetti turistici) art. 90, 3° co., Cod. Consumo “Quando l’aumento del
prezzo supera la percentuale di cui al comma 2, l’acquirente può recedere
dal contratto, previo rimborso delle somme già versate alla controparte”;
·
(sulla somministrazione)
art. 1569 c.c. “Se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna
delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine
pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo
avuto riguardo alla natura della somministrazione”;
·
(sulla somministrazione
di servizi di telefonia, televisivi e internet) art. 1 L. 40/07 “I
contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti
televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia
utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal
contratto …senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese
non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di
preavviso superiore a trenta giorni”;
·
(sulla locazione)
art. 1612 c.c. “Il locatore che si è riservata la facoltà di recedere
dal contratto per abitare egli stesso nella casa deve dare licenza motivata nel
termine stabilito dagli usi locali”, art. 1613 c.c. “Gli impiegati
delle pubbliche amministrazioni possono, nonostante patto contrario, recedere
dal contratto nel caso di trasferimento, purchè questo non sia stato
disposto su loro domanda” e art. 1614 c.c. “ Nel caso di morte
dell’inquilino, se la locazione deve ancora durare per un anno ed è stata
vietata la sublocazione, gli eredi possono recedere entro tre mesi dalla
morte”. Per gli immobili ad uso abitativo l’art. 3, L. 431/98 prevede la
possibilità del locatore di recedere dal contratto solo per i motivi elencati
alle lettere da a) a g) e, comunque, solo alla prima scadenza e previo
preavviso di almeno sei mesi. Quanto al conduttore, egli“qualora
ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto,
dando comunicazione al locatore con preavviso di almeno sei mesi” (art. 3,
6° co.). Per gli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, l’art.
27, commi 7 e 8, L. 392/78 dispone che: “7. E’ in facoltà delle parti
consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi
momento dal contratto dandone avviso al locatore …almeno sei mesi prima della
data in cui il recesso deve avere esecuzione. 8. Indipendentemente dalle
previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può
recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei
mesi”;
·
(sull’affitto)
art. 1616 c.c. “Se le parti non hanno determinato la durata dell’affitto,
ciascuna di esse può recedere dal contratto dando all’altra un congruo
preavviso”;
·
(sull’appalto)
art. 1671 c.c. “Il committente può recedere dal contratto, anche se è
stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purchè
tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del
mancato guadagno”;
·
(sull’agenzia)
art. 1750, 2° co., c.c. “Se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato,
ciascuna delle parti può recedere dal contratto stesso dandone preavviso
all’altra entro un termine stabilito”;
·
(sul conto corrente)
art. 1833 c.c. “Se il contratto è a tempo indeterminato, ciascuna delle
parti può recedere dal contratto a ogni chiusura del conto, dandone preavviso
almeno dieci giorni prima”. Si ricordi, tuttavia, che in tema di conto
corrente bancario vale ciò che è stabilito dall’art. 118, 2° co., D. Lgs.
385/93 (di seguito, denominato “T.U.B.”), ovvero: “qualunque modifica
unilaterale delle condizioni contrattuali… si intende approvata ove il cliente
non receda, senza spese, dal contratto entro sessanta giorni. In tal
caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto
all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”;
·
(sull’apertura di
credito bancario) art. 1845 c.c. “Salvo patto contrario, la banca non
può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per
giusta causa”;
·
(sul credito al
consumo) art. 125, 2° co., D.Lgs. 385/93 “Le facoltà di adempiere
in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano
unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario”;
·
(sul collocamento di
strumenti finanziari) art. 30, 6° co., D.Lgs. 58/98 (di seguito, denominato
“T.U.F.”) “L’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari
e di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la
durata di 7 giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte
dell’investitore” e per quelli commercializzati a distanza, l’art. 67 duodecies,
3° co., stabilisce che “Il consumatore dispone di un termine di quattordici
giorni per recedere dal contratto senza penali e senza dover indicare il
motivo…”;
·
(sull’assicurazione)
art. 1893 c.c.: “Se il contraente ha agito senza dolo o colpa grave, le
dichiarazioni inesatte e le reticenze non sono causa di annullamento del
contratto, ma l’assicurazione può recedere dal contratto…”, art .
1897 c.c. “Se il contraente comunica all’assicuratore mutamenti che
producono una diminuzione del rischio tale che, se fosse stata conosciuta al
momento della conclusione del contratto, avrebbe portato alla stipulazione di
un premio minore, l’assicuratore … non può esigere che il minor premio,
ma ha facoltà di recedere dal contratto entro due mesi…” e art. 1899
c.c., come mod.to dall’art. 5, L. 40/07 ([1])
“…In caso di durata poliennale, l’assicurato ha facoltà di recedere
annualmente dal contratto senza oneri e con un preavviso di sessanta giorni”,
art. 1819, 3° co., c.c. “I diritti e gli obblighi dell’assicurato passano
all’acquirente, se questi, avuta notizia dell’esistenza del contratto di
assicurazione, entro dieci giorni dalla scadenza del primo premio successivo
all’alienazione non dichiara all’assicuratore … che non intende subentrare nel
contratto”; (RCAuto) art. 172 D.Lgs. 209/05 (di seguito, denominato
“Cod. Assicurazioni”) “In caso di variazioni tariffarie, escluse quelle
connesse all’applicazione di regole evolutive nelle varie formule tariffarie e,
superiori al tasso programmato d’inflazione, il contraente può recedere
dall’assicurazione…”; (Assicurazione sulla vita) art. 177 Cod.
Assicurazioni “Il contraente può recedere da un contratto individuale
di assicurazione sulla vita entro trenta giorni dal momento in cui ha ricevuto
comunicazione che il contratto è concluso”;
·
(sulla cessione dei
beni) art. 1985 c.c. “Il debitore può recedere dal contratto
offrendo il pagamento del capitale e degli interessi a coloro con i quali ha
contrattato o che hanno aderito alla cessione”;
·
(sul contratto di
lavoro) art. 2118 c.c. “Ciascuno dei contraenti può recedere dal
contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei
modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità”, norma
ormai superata dal disposto di cui all’art. 1 L. 604/66, secondo il quale: “Nel
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro
privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di
legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento
del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi
dell’art. 2119 c.c. o per giustificato motivo”;
·
(sul contratto
d’opera) art. 2227 c.c. “Il committente può recedere dal
contratto, ancorché sia iniziata l’esecuzione dell’opera, tenendo indenne il
prestatore d’opera delle spese, del lavoro e del mancato guadagno”;
·
(sul contratto
d’opera intellettuale) art. 2237 c.c. “1. Il cliente può recedere
dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il
compenso per l’opera svolta. 2. Il prestatore d’opera può recedere dal
contratto per giusta causa…”
3. La ratio
sottesa alle diverse previsioni
Dalla lettura
delle citate norme, si può notare che il diritto di recesso in esse stabilito è
previsto per ragioni diverse, a seconda del tipo di contratto concluso.
Si evidenzia, in
primo luogo, l’avversione del legislatore nei confronti della permanenza sine
die dei vincoli obbligatori. Da ciò discendono le previsioni di cui agli
artt. 1569, 1616, 1750 (2° co.), 1833 e 2118 c.c..
Peraltro, la
giurisprudenza ha generalizzato il principio sotteso alle norme de quibus
e, ricollegando la possibilità di recesso all’obbligo di esecuzione del
contratto secondo buona fede, ha affermato che, data la necessaria temporaneità
dei vincoli contrattuali, è sempre possibile ex art. 1375 c.c. recedere,
con preavviso, da un contratto a tempo indeterminato (Cass. 3296, 02).
Ulteriore ragione
fondante di alcune previsioni sembrerebbe, a parere della sottoscritta, la tutela
della permanenza dell’interesse dei contraenti a seguito di sopravvenute
modifiche soggettive del contratto.
Ci si riferisce
agli artt. 1614 e 1819, 3° co., c.c. che, in tema, rispettivamente, di
locazione e assicurazione, conferiscono la possibilità di recedere dal
contratto agli eredi dell’inquilino e all’acquirente del bene assicurato.
La tutela
dell’interesse delle parti è prevista anche nel caso di modifiche oggettive
delle condizioni contrattuali conosciute successivamente alla stipula del contratto
e si estrinseca (appunto) con la previsione del diritto di recesso: si vedano,
a tale proposito, gli artt. 1537, 1538, 1893, 1897, 1895 c.c., 90, 3° co., Cod. Consumo e 172, Cod. Assicurazioni.
Per spiegare le
disposizioni summenzionate si potrebbe far riferimento anche alla necessità di
proteggere l’equilibrio del sinallagma contrattuale (ovvero la proporzione tra
le prestazioni nei contratti c.d. a prestazioni corrispettive). In altre
parole, la possibilità di recedere, conferita ad una parte nelle citate
previsioni, è giustificata da modificazioni oggettive che renderebbero
sproporzionate le prestazioni cui si sono obbligati i contraenti.
Inoltre,
fondamento di alcune delle summenzionate disposizioni è l’esistenza di una
giusta causa che legittimi lo scioglimento del contratto ad opera della
volontà, debitamente manifestata, da un solo contraente. Si pensi alle norme
sulla locazione (artt. 1612, 1613, 1845 c.c. 3 L. 431/98 e 27 L. 392/78) e
all’art. 1, L. 604/66, norma, quest’ultima, che rende possibile il
licenziamento del lavoratore con contratto a tempo indeterminato solo nel caso
di giusta causa o giustificato motivo.
E ancora. Gran
parte delle norme sopra elencate è stata emanata per tutelare le cc.dd. parti
deboli, ovvero quei contraenti che, per ragioni diverse, si trovano in una
posizione di inferiorità rispetto alla controparte negoziale. Si tratta, ad
esempio, del consumatore, dell’utente, dell’assicurato, i quali, il più delle
volte, si trovano davanti contratti per adesione, le cui previsioni possono
essere solo accettate o rifiutate in blocco, senza la possibilità di una
trattativa (v. artt. 64, 73, 67 duodecies, 3° co. Cod. Consumo, 1 L.
40/07, 118, 2° CO. T.U.B., 125, 2° CO., T.U.F., 1899 c.c., art. 177 Cod. Assicurazioni). Ma di questa tipologia di recesso ce
ne occuperemo più avanti, stante la peculiarità che lo contraddistingue.
Infine, appare
opportuno accennare alla ratio sottesa agli artt. 1671, 2227 e 2237
c.c., norme che permettono, al committente (e, nel caso dell’art. 2237 c.c., anche
al prestatore d’opera) di recedere dal contratto. A parere di chi scrive, in
tali casi, la possibilità di sciogliere unilateralmente il contratto deriva
dalla natura della fattispecie negoziale: si tratta, infatti, di contratti c.d.
intuitus personae, ossia accordi in cui la persona del contraente rileva
sotto il profilo delle qualità personali. Con riguardo, in particolare,
all’art. 1671 c.c., il Tribunale di Roma ha riconosciuto espressamente che “La
caratteristica soggettiva del contraente appaltatore consente al committente di
esercitare il diritto di recesso in qualsiasi momento posteriore alla
conclusione del contratto, alla stregua dell’intervenuta sfiducia nei confronti
dell’appaltatore” (Trib. Roma, 19/07/01, Corr. Giur. Roma, 2002).
4. Le limitazioni
al diritto di recesso
In taluni casi,
il diritto potestativo di recesso, anche se previsto contrattualmente, non può
essere esercitato da uno dei contraenti.
Si veda, a tal proposito,
l’art. 125, 2° co., T.U.B., il quale prevede che la facoltà di recesso dal
contratto di credito al consumo possa essere esercitata solo dal consumatore.
E, in generale,
molte delle norme che sanciscono il diritto di recesso del consumatore non si
applicano alla controparte negoziale: ciò in tema di contratti stipulati fuori
dai locali commerciali e a distanza, di multiproprietà, di somministrazione di
servizi di telefonia, etc..
In altri casi,
invece, la legge prevede che una parte possa recedere dal contratto, ma solo
nelle ipotesi stabilite.
Si pensi, ad
esempio, al locatario, al datore di lavoro e al prestatore d’opera
intellettuale.
Altra limitazione
è imposta alla banca dall’art. 1845 c.c. in relazione al recesso dal contratto
di apertura di credito.
Si ricordi,
infine, che l’art. 33, lett. g), Cod. Consumo, per evitare sperequazioni tra le
parti contraenti, pone una limitazione alla possibilità di recesso, stabilendo
che, nel contratto stipulato tra professionista e consumatore, si presumano vessatorie
(e, quindi, inefficaci) fino a prova contraria le clausole che hanno per
effetto di “riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la
facoltà di recedere dal contratto…”.
5. La
peculiarità del diritto di recesso nel diritto dei consumatori
Probabilmente, si
è già intuita la particolarità della figura del recesso nel campo del diritto
dei consumatori.
Invero, nei casi
previsti dagli artt. 64 , 73, 67 duodecies Cod. Consumo, art. 1, L.
40/07 e 125 T.U.B., il legislatore ha previsto che il consumatore possa
sciogliere unilateralmente il negozio anche se tale diritto non sia previsto
dal contratto. Inoltre, egli non deve esplicitare la causa del recesso. Infine,
il recesso sarà valido anche se il contratto abbia avuto un principio di esecuzione.
Ciò in deroga a quanto esplicitamente previsto dall’art. 1373 c.c..
Si ribadisce che
il motivo di tale, diversa disciplina risiede nell’esigenza di tutelare il
consumatore, quale parte debole del rapporto o, in altre parole, “il
fondamento teleologico che accomuna le diverse ipotesi di ripensamento si
rinviene nell’esigenza di contemperare le esigenze di celerità e sicurezza
degli scambi con la libertà contrattuale in senso stretto del consumatore”
(Cuffaro, Codice del Consumo, 2008, 331).
In conseguenza
delle suddette peculiarità, si parla, in queste ipotesi, non di diritto di
recesso, bensì di ius poenitendi.
Tale figura
ricorre anche nelle ipotesi di cui agli artt. 1899 c.c., 177 Cod. Assicurazioni e 118 T.U.B..
La ricostruzione
dello ius poenitendi ha impegnato la migliore dottrina: secondo alcuni,
l’esercizio del diritto di recesso è configurabile come mancata accettazione di
un contratto di opzione; altri qualificano il recesso come condizione
risolutiva o mancato avveramento di quella sospensiva (opinione che sembrerebbe
confermata dalla lettera dell’art. 30, 6° co., T.U.F.).
Altri autori
hanno dato peso all’elemento “sorpresa” (ricorrente soprattutto in tema di
contratti stipulati fuori dai locali commerciali), qualificandolo come vizio
del consenso: la dichiarazione di pentimento sarebbe un atto che osta al
formarsi di un silenzio, il quale avrebbe la virtù di far apparire ponderata (e
quindi capace) la dichiarazione.
6. I costi
conseguenti all’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore
Le deroghe
previste dal diritto dei consumatori al principio della perentorietà del
contratto ex art. 1372 c.c. non possono e non vogliono togliere completamente
valore alla citata norma. Ne consegue che se è giusto che il consumatore, in
taluni casi, abbia la possibilità di svincolarsi dal rapporto contrattuale,
altrettanto giusto è evitare un pregiudizio all’altra parte.
Ed invero, in
tema di contratti a distanza e di quelli stipulati fuori dai locali
commerciali, l’art. 67, 3°co. Cod. Consumo dispone che “Le sole spese dovute
dal consumatore per l’esercizio del diritto di recesso a norma del presente
articolo sono le spese dirette di restituzione del bene al mittente, ove
espressamente previsto dal contratto”.
Ciò in quanto la
consegna del bene è avvenuta in esecuzione di un contratto.
Tuttavia, a
parere di chi scrive, tale norma non si applicherà qualora la spedizione del
bene sia avvenuta dopo la ricezione, da parte del venditore, della
comunicazione di recesso inviatagli dal consumatore. Tale assunto troverebbe
conferma nell’art. 57 Cod. Consumo, secondo il quale “Il consumatore non è
tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta”.
Nel caso della
multiproprietà, invece, l’acquirente che abbia receduto “deve rimborsare al
venditore solo le spese sostenute e documentate per la conclusione del
contratto e di cui è fatta menzione nello stesso, purchè si tratti di spese
relative ad atti da espletare tassativamente prima dello scadere del periodo di
recesso” (art. 73, 2° co., Cod. Consumo).
L’art. 67 terdecies,
1° e 2° co., Cod. Consumo, poi, prevede nel caso di commercializzazione a
distanza di servizi finanziari che il consumatore recedente paghi “solo
l’importo del servizio finanziario effettivamente prestato dal fornitore…”
e che, comunque, esso non potrà: “a) eccedere un importo proporzionale
all’importanza del servizio già fornito in rapporto a tutte le prestazioni
previste dal contratto a distanza; b) essere di entità tale da poter costituire
una penale”.
Quanto ai servizi
di telefonia, televisivi e Internet, si desume dal già citato art. 1, L. 40/07
che l’utente recedente sarà tenuto a corrispondere all’operatore solo le spese
che quest’ultimo abbia giustificato adeguatamente. Si tenga presente che, nel
caso in cui l’utente receda dal contratto per trasferire l’utenza presso un
altro operatore telefonico, egli non sarà tenuto a pagare alcunché: le linee
guida dell’Agcom prevedono, infatti, che tali spese vengano sostenute non già
dal consumatore ma dal nuovo operatore.
Infine, la
seconda parte dell’art. 125, 2° co., T.U.B. stabilisce che “Se il
consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto ad
un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità
stabilite dal CICR”.
Pur non
riferendosi tale norma al recesso, si è ipotizzato che l’adempimento anticipato
equivalga al recesso, salvo per quanto attiene i finanziamenti erogati sotto
forma di dilazione di pagamento e di leasing (Cuffaro, Codice del Consumo,
2008, 808). Pertanto, atteso che il CICR non è ancora intervenuto sul punto,
nel caso di recesso, si applicherà quanto previsto dall’art. 3, 1° co., del
decreto del Ministro del Tesoro dell’8 luglio 1992, a mente del quale la
facoltà di recesso “si esercita mediante versamento al creditore del
capitale residuo, degli interessi ed altri oneri maturati fino a quel momento
e, se previsto dal contratto, di un compenso non superiore all’uno per cento
del capitale residuo”.
7. Conclusioni
Dopo aver esaminato
sommariamente le diverse ipotesi di recesso previste dal legislatore, si può
finalmente rispondere al quesito iniziale: il recesso è ancora un modo
eccezionale di scioglimento del rapporto contrattuale? Ebbene, sì.
Nonostante le
numerose disposizioni normative facciano pensare altrimenti, la regola resta
quella stabilita dall’art. 1372 c.c.. Ferma restando l’eccezione già enunciata
all’inizio: si può sempre recedere dai contratti a tempo indeterminato,
fornendo però un congruo preavviso.
Vero è che, negli
ultimi tempi, il legislatore ha utilizzato copiosamente l’istituto del recesso
allo scopo di tutelare la parte debole del contratto. Questo, al fine di
liberare il consumatore (o l’utente, o l’assicurato, etc.) da vincoli
contrattuali sorti senza che il contraente stesso ne avesse coscienza, ovvero
si rendesse conto di quale prodotto o servizio gli veniva offerto.
Tuttavia, nella
generalità dei casi, si può affermare che il contratto, una volta stipulato,
resta (anche per il consumatore) “legge” da rispettare. Invero, il recesso è sì
esercitabile ad nutum dal consumatore, ma solo mediante forme tipizzate
ed entro termini di decadenza piuttosto brevi, decorsi i quali, il regolamento
negoziale vincola le partila pari di qualsiasi altro contratto.
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FONTE: ALTALEX del 20.07.2009.
AUTORE: Avv. Costanza
Martino